Lecce, le origini romane della… zona 167!
Lì dove oggi, a Lecce, termina il lungo Viale Aldo Moro (zona 167/A), e dove ogni anno il 26 Agosto molti di noi Leccesi andiamo ad assistere agli spettacoli pirotecnici in onore del Santo Patrono, al tempo degli antichi romani (II-III sec. D.C.) vi era una villa rustica di epoca imperiale con annessa area sepolcrale. Lo testimoniano dei reperti archeologici rinvenuti nei primi anni ’70 del secolo scorso, oggi custoditi presso il Museo Provinciale Sigismondo Castromediano.
Di tali vestigia della gens Marcia, proveniente dall’area di Pozzuoli, ne hanno parlato i principali archeologi e studiosi locali tra cui il Prof. C. Pagliara(1), il Prof. D’Andria(2) e, solo oggi, grazie alla gentile collaborazione del Prof. Gensini, scopro un interessantissimo articolo della Prof.ssa Anna Marinelli(3) la quale ci fornisce tutti i dettagli dei ritrovamenti nell’ambito della masseria che nei secoli successivi fu costruita nei pressi dell’area sepolcrale del suddetto praedium Marcianum.
Riporto di seguito alcuni passi della Marinelli soprattutto perchè ci racconta come e dove erano i luoghi lì dove oggi regna il cemento e l’urbanizzazione che in questi ultimi decenni ha visto crescere in maniera smisurata le nostre periferie. Lì dove è stato possibile integrerò con le descrizioni dei luoghi così some sono oggi.
Subito fuori Lecce per chi si diriga verso la spiaggia di S. cataldo, conosciuta dagli studiosi per i ruderi del molo adrianeo, circa 400m a Sud dello stradale (SP 364 Lecce-San Cataldo,ndr), all’altezza del II chilometro, in contrada Settelaquare, nella masseria localmente nota col nome di Sant’Ulia a le Secare (S. Elia delle Serpi), sono stati segnalati dal Sig. Francesco Stasi, materiali archeologici che testimoniano un insediamento rurale di età romana imperiale.
[…] Alla masseria di S. Elia si giunge seguendo, per circa un chilometro e mezzo la strada campestre (l’odierna Via bari, ndr) che si stacca dallo stradale quasi al primo chilometro, davanti alla masseria dei Settelaquare (anche questa doveva avere origini remote dato che il toponimo sembrerebbe provenire dal latino, ndr).
Essa rimane a destra, a oriente di una breve diramazione d’accesso su cui si aprono due ingressi che immettono in due corti, affiancate da edifici ora abbandonati e parzialmente distrutti.
La stalla dell’angolo Nord-est apre su un cortile recintato, ove si notano due pozzi, un area rotonda delimitata da sassi, carreggiate traversanti obliquamente e tombe a fossa.
I due pozzi erano coperti da lastroni apparentemente antichi; quello a nord era scoperto, rettangolare e profondo circa 30m; quello a Ovest davanti alla stalla, rotondo e meno profondo, è coperto da due conci. Nell’angolo Nord-Ovest rimane parte di un anello circolare di sassi, forse una concimaia; anche qui il materiale adoperato è chiaramente di reimpiego e comprendeva tra l’altro due iscrizioni e un frontoncino.
Il cippo di MARCIA IANUARIA
Il cortile in cui sono state reimpiegate le epigrafi, è attraversato obliquamente da molte profonde orbitae tensarum (carraie, ndr), che alludono ad una preesistente frequentazione antica, poi soppiantata dalle nuove direttrici di traffico, che hanno determinato l’attuale strada campestre (oggi via Firenze-Via Pescara, ndr) relativamente vecchia e già profondamente incassata nel tufo, per cui sono stati a protezione del suo bordo molti conci antichi di notevoli dimensioni e variamente lavorati. La via antica restò interrorrotta d questo scasso e fu obliterata e inclusa nelle recizioni moderne, insieme a due formae di m 2X0,48 scavate nella roccia.
Davanti all’ingresso del cortile descritto si è rinvenuto un rocchio di colonna, sempre in pietra di Trani a patina marmorea, alto mt 1,30, diametro di m 0,54 alla base 0,48 al somoscapo.
Il Pagliara scriveva in proposito: “In tutti questi luoghi è dato rilevare tracce piu o meno cospicue di resti di ville rustiche, datate, per ora, genericamente ad età imperiale (II-III sec. D.C). In alcuni casi tali resti indicano un certo tono signorile della villa, e proprio a tali contesti sono riferibili monumenti funerari di ingenui appartenenti a gentes note nei vicini municipia, all’interno dei quali spesso membri della stessa gens occupano posizioni sociali rilevanti e ricoprono dignità pubbliche. Di contro la stragrande maggioranza delle iscrizioni recuperate nelle
restanti aree extraurbane sono di servi, liberti, o, a volte, di liberi, ma di umile condizione.”
Aggiungo infine che a qualche chilometro di distanza, nell’entroterra della marina leccese sussiste la masseria “Gennarano” che nel toponimo conserva ancora oggi l’eredità del cognomen “Ianuaria” (4).
Bibliografia:
- C. PAGLIARA: Note di epigrafia Salentina III, pag. 72-74
- F. D’ANDRIA – Metodologie di catalogazione dei beni archeologici, Volume 3 – Martano Editrice, 1997
- A. MARINELLI: Lecce, S. Elia a le Secare – Fattoria ed epigrafi sepolcrali di età romana imperiale – Notiziario Topografico Salentino, contributi per la Carta Archeologica, 1971. pag 288
- A. MARINELLI: Contributo alla Storia della Romanizzazione del Salento.
Gennarano dovrebbe derivare da Ianuarianum ovvero proprietà di Ianuarius.
Di solito il prediale si ottiene dal nomen e in alcuni casi dal cognomen.
Per quanto riguarda la villa dei Marcii a Lecce essa è collocata nei pressi del tratto della lunga via che collega Portus Sasinae, Rudiae, Lupiae e Portus Hadriani.